Tratto da “la via del pepe” di Massimo Carlotto
Regia: Marco Sanna
con: Antonio Murru
musiche dal vivo: Mauro Palmas
Luci: Roberto Lamonica
ideazione e costruzione burattini: Donatella Pau
progetto e costruzione scene: Donatella Pau e Tonino Murru
Aiuto Sartoria: Simona Cadeddu, Maria Pasqua Carboni
Un uomo sulla spiaggia, portato dal mare, di cui non sappiamo nulla. Come una cosa buttata li, un relitto, un rifiuto corroso e smussato dalle onde, di cui si sono persi i contorni netti, qualcosa non più riconoscibile a cui non sappiamo dare un nome, che ha perso la sua funzione originale e adesso sta li davanti ai nostri occhi in attesa di una nuova identità.
Inizia così la nostra storia, come quella dei tanti invisibili che sbarcano sulle coste Italiane e attraversano la penisola da sud a nord per raggiungere il confine. Fantasmi, a cui viene assegnata un’identità solo nel momento in cui li si arresta e li si rinchiude, con l’unica colpa di aver esercitato il proprio diritto alla sopravvivenza, nessuno li cerca, ogni istante della loro esistenza è priva di certezze.
Lo spettacolo narra la storia di uno di loro, cerca di rendergli giustizia, ricostruisce la sua parabola umana, dalla partenza piena di sogni fino al rimpatrio forzato. Nel mezzo c’è stato un naufragio e Amal (questo è il suo nome) è stato il solo a salvarsi, la morte lo ha tenuto a galla e giocato con la sua vita, gli ha mostrato il destino dei tanti come lui che non ce l’hanno fatta, lo ha portato a spasso per il mediterraneo illustrandogli le gesta di quel popolo silenzioso, incapace di nuotare, che sfida il destino e le onde nella speranza di un domani migliore.
La morte è facile alle distrazioni, agli errori madornali, ne abbiamo tutti un esempio in famiglia: un figlio, un cugino una giovane zia, un gattino appena trovato, perdite inspiegabili dovute alla distrazione della signora con la falce. La morte si diverte con la musica, ed è questa a distrarla mentre Amal è in balia del mare. La musica arriva da molto lontano, da quello stesso luogo nell’Africa nera da cui Amal è partito, è suo nonno che canta canzoni alla luna, che intercede con sorella morte chiedendogli di prendere il posto di suo nipote. Andrà così infatti Amal si salverà grazie al sacrificio del nonno, arriverà in Italia, che forse non è neanche la nazione che desiderava come meta, finiranno li i suoi sogni e rimandato a casa, cioè in un punto qualsiasi di madre Africa, tanto è uguale, tanto sono tutti uguali.
Lo spettacolo è costruito su un doppio registro, da una parte la storia di Amal e del suo tragico viaggio, dall’altra una serie di personaggi che vivono una storia parallela, con i tipici equivoci della commedia all’italiana. Questo secondo piano s’interseca solo superficialmente con il primo, allo stesso modo in cui le nostre vite sono appena scalfite dalle orde di disperati che sbarcano sulle nostre coste, di cui ci accorgiamo solo nel momento in cui i loro viaggi si trasformano in stragi. I burattini, che saranno il cardine e la cifra stilistica dell’intero lavoro, sono da sempre espressione popolare per eccellenza, a loro sarà affidato l’onere di far vivere la storia attraverso le voci meno colte della nostra Italia, con quel tocco di irriverenza e sarcasmo tipico della loro tradizione.
Il terzo piano del lavoro è quello della coscienza, incarnata direttamente dal burattinaio, che costantemente si sposta da dentro a fuori la rappresentazione, esprimendo tacitamente la sua costante esitazione, la sua inadeguatezza nei confronti di un dramma davanti al quale scopriamo ognuno la nostra inutilità.