Produzione Meridiano Zero – Mutamento Zona Castalia
di e con Marco Sanna e Francesca Ventriglia
Per tentare di capire:
il desiderio prima di ogni altra cosa.
Il desiderio ha trascinato con se l’amore, una coppia, una coppia d’amore, la stanza, dove vivono tutte le coppie, luoghi senza pericolo di bellezza, luoghi dove tutto succede, questo succede.
Per tentare di mettere in pratica:
ci siamo costruiti un recinto di pensiero.
Pensare l’amore in simbiosi con l’ossessione. Pensare soltanto l’amore, ossessivamente. Volere una persona soltanto, una persona alla volta. Desiderare certe cose, quella cosa, soltanto. Vivere un presente ossessivo. Attendere un futuro migliore, dove tutto ritornerà come prima. Riprovarci ancora. Guardare al passato e ogni cosa perduta, vederla prima dell’inizio di tutto.
Un recinto d’ossessione, nella stanza si sta, vivi o morti. Cessa di esistere il tempo, le cose ritornano, se ne vanno, essi, semplicemente, ci sono sempre stati e ci saranno sempre.
Un intatto presente, un fossato di silenzio che circonda la casa.
Il disperato (amorevole dunque) tentativo di comprensione, di ricerca delle ragioni, di avvicinamento l’uno al mistero dell’altro, che è anche un tentativo per dimenticar se stessi, e infine il complesso non capire……come un corridoio stretto e lungo, senza lucernari, senza porte, che non conduce in alcun luogo.
E ad un tratto tutto si rivela,con la forza dirompente di un esplosione, con l’ineluttabilità di una catastrofe: la tragedia arriva nella nostra (nella loro) vita per dargli un senso.
Nel tentativo di cambiare prospettiva:
Il sogno diviene incubo di normalità.
Quando ci destiamo da questo brutto sogno, brutto e pauroso, reso accettabile solo dall’eco di canzoni d’amore , rumori di tristezza, non ci siamo più: tutte le nostre stanze parlano della nostra partenza.
Quando le cose finiscono, è qui, non un attimo prima, che la tragedia s’impone su tutto, non c’è più spazio per nessun’ossessione, quando si muore, quando muoiono gli altri, quando ci si accorge di essere morti (già), si vorrebbe che partisse una canzone (la nostra) ad abbracciare la potenza del dolore.
Il senso di perdita porta in se, come dono, un’assassina lucidità, una coperta da gettare sul nulla per provare a dargli una forma.
Ma se ogni giorno guardassimo nello specchio la morte all’opera, allora ci si potrebbe fare l’abitudine, si potrebbe perfino annoiarsi davanti ad essa e cullare il nostro suicidio come un bimbo, aspettando il giorno in cui verrà natale e dare una festa privata in cucina, senza invitati se non la nostra stessa ombra. Si potrebbe ballare al ritmo del nostro sistema nervoso. Così belli, finalmente,così umani: solo piscio, merda, puzza e voglia di andarsene via.
Ma non si va, si resta.
Nel fondo della caverna di Platone dove le cose non si svelano mai per quello che sono, la realtà è continuamente negata o travisata e non è possibile vedere se non l’ombra del reale, che è nel fondo della nostra mente e si estende, vaga e indefinibile: una minaccia per la pace, tutta la pace.
Tutto sembra soccombere, tutto ruota intorno alla fine di ogni possibile percorso, ma ci faremo forieri a nostro modo di speranza: come? Rifiutandoci di chiudere il conflitto con un opportuno finale, felice o infelice.