Anno:2003
Durata:61 Minuti
Origine:Italia
Genere:Documentario
Tratto da:opera teatrale GUERRA di Pippo Delbono
Produzione:Daniela Cattaneo Diaz per (H) Italia
Regia: Pippo Delbono

Il film nasce dopo la tournée che ho fatto con la mia compagnia teatrale in Israele e Palestina.

Ma non è un documentario, non è il racconto di quel viaggio. “A un certo punto ho capito che per ritrovare quel viaggio in un luogo di conflitto dovevo dimenticarlo, dimenticare il conflitto, dimenticare i pensieri sul conflitto, le considerazioni politiche, chi ha torto o ragione, ecc.

E così ho costruito come disegnando su una tela con le immagini che avevo, seguendo frammenti di poesia che parlano di libertà e costrizione, di vittime e di potenti, di gente senza viso, senza nome. Non c’è da parte mia un giudizio. Mi piace guardare con gli occhi di un bambino che aspetta, che non vuole capire ma viene attirato dai volti, dai sorrisi, dalle immagini forti di case distrutte, dalla paura della gente ma anche dal cielo, dalla luce. Ci sono nel mio gruppo persone come Bobò, senza voce, o Gianluca, che con i loro corpi diversi, con le loro diverse logiche mi sembrava che guardassero la guerra con innocenza, senza giudizio. Ecco, mi piaceva pensare che il film fosse un po’ la guerra vista con gli occhi di queste persone, che forse proprio per la loro condizione di diversi possono liberamente essere attirati dalle cose brutte, violente, ma anche dalla vita segreta che comunque è nascosta dietro la ferita. Io non voglio capire, prendere posizione, la guerra è un luogo dell’animo umano buio, contorto, spesso è molto difficile definire i buoni e i cattivi, i giusti e gli ingiusti, spesso è più facile con l’occhio della poesia avvicinare una verità più profonda. E comunque sempre è la danza per me, la ricerca della bellezza del gesto, dei tanti gesti umani che si susseguono e che così mi raccontano qualcosa di più segreto, un racconto di potenza e fragilità, distruzione e costruzione, violenza e vita comunque possibile, guerra e pace; qualcosa di illogico, di incomprensibile, ma spesso forse più vero.

Come nel teatro ho cercato anche qui qualcosa che non mi staccasse dalla verità, dalla lucidità, una narrazione che non percorresse i sentieri della finzione ma quelli di un racconto poetico”.

paese: Italia
anno: 2018
genere: documentario
regia: Massimiliano Pacifico
durata: 60′
fotografia: Diego Liguori
montaggio: Diego Liguori
produzione: Teatri Uniti, RAI Cinema
distributori: Kio film

 

Il lavoro dell’attore nella costruzione del personaggio di Donna Elvira, secondo la versione datane da Molière nel suo Don Giovanni, è al centro del breve ma intenso doc diretto da Massimiliano Pacifico.

Toni Servillo, qui nelle vesti di regista teatrale, guida i suoi tre giovani attori oltre le fatiche, mentali e fisiche, che presiedono alla creazione di Elvira, l’omonimo spettacolo coprodotto dal Piccolo Teatro di Milano e da Teatri Uniti che Brigitte Jaques ha tratto dalle lezioni tenute da Louis Jouvet al Conservatoire di Parigi, nel 1940.

Il teatro al lavoro è un affascinante viaggio nel teatro prima del teatro, là dove l’occhio (in)discreto della cinepresa si trova a narrare la complessa opera di stratificazione, di lavoro di scavo sul testo e su se stessi, di indagine su gesto e parola intesi come segno espressivo e comunicativo volto all’altro da sé, al pubblico, allo spettatore.

Toni Servillo, al solito, è magnetico e la sua capacità di attrarre l’attenzione nei panni di se stesso non ha nulla da invidiare a quella degli ormai leggendari personaggi cui ha prestato corpo e voce sul grande schermo.

Autentico mattatore del nostro cinema e del teatro contemporaneo, assume qui i panni di un Virgilio altero ma allo stesso tempo umile che guida i suoi attori, e noi spettatori, tra i gironi oscuri dell’avventura teatrale, luogo in cui la vita tenta di riflettere su stessa e sulle proprie, spesso insanabili, contraddizioni.

scritto e diretto da Salvatore Manca – performance di Daniela Tamponi
Soundtrack elettronica di Arnaldo Pontis/Magnetica Ars Lab
con la partecipazione di Irma Toudjian( Pianoforte) e Alex Ledda ( Drum Machines)

DIRETTA SKYPE COL REGISTA SALVATORE MANCA E CON LIA ORIGONI IN OCCASIONE DEL SUO CENTESIMO COMPLEANNO.

 

Il film/documentario di ricerca è dedicato a Lia Origoni, una cantante e artista molto nota in Italia e in Europa nella prima metà del secolo scorso, nata in Sardegna (a La Maddalena, il 20 ottobre del 1919) e ancora vivente. Il film ritrae l’artista Lia Origoni che oggi (all’epoca delle riprese) ha 94 anni alle prese con una nuova vita, in un mondo sempre più tecnologico, frenetico e meccanico.

In questo mondo Lia, da autodidatta, si immerge con semplice curiosità artistica cercando nuove strategie per riuscire a far riemergere la sua arte oramai dimenticata dai media. Riesce a farlo adattandosi rapidamente alle nuove tecnologie, lavorando alle tecniche di editing su computer audio e multimediali a partire dalle bobine magnetiche contenenti centinaia di registrazioni canore, recuperate fortuitamente dagli archivi della RAI. E adattandosi alla comunicazione quotidiana attraverso i moderni social network. Lia vive la sua seconda vita, ormai prossima al secolo, in mezzo ai mezzi moderni con la curiosità di un nativo digitale e senza nessuna paura di sbagliare.

A 94 anni compiuti Lia vive a La Maddalena, la sua città natale in Sardegna nella quale è tornata dopo aver vissuto in molte città nel mondo, e lavora ogni notte al computer fino alle 4 del mattino, per ripulire i vecchi nastri della RAI con le registrazioni dei suoi concerti e passarli in stereofonia e in formati digitali.

Si tratta di vecchi nastri magnetici fortuitamente recuperati dagli archivi del secolo scorso che la RAI (Radio televisione italiana) voleva mandare al macero. In quelle centinaia di nastri è ancora incisa la sua voce dal vivo durante tutta una vita di arte e di cultura musicale, una vita che l’avvento delle nuove tecnologie avrebbe mandato in fumo senza pietà. In questo modo, nuovo, indipendente e ribelle invece un’artista quasi centenaria come Lia che si è esibita con immenso successo e per decenni, anche durante la guerra, in mezza Europa e in centinaia di concerti dal vivo, senza mai aver registrato allora un solo brano in uno studio di registrazione, come una moderna fenice risorge digitalmente oggi dalle proprie ceneri.
Note sulla colonna sonora: Arnaldo Pontis

Anche per stimolare ulteriormente la propria e altrui curiosità verso le nuove frontiere artistiche e anche tecnologiche, Lia Origoni e il giovane regista sardo Tore Manca che dirige questo docu-film a lei dedicato, si sono rivolti a Daniela Tamponi, la danzatrice e performer sarda che compare nel film durante le sue performance.

Ed entrambi hanno anche coinvolto nella realizzazione delle musiche della colonna sonora, Arnaldo Pontis, informatico e musicista elettronico, anch’egli nato in Sardegna, che ha all’attivo numerosi lavori, progetti musicali, dischi, colonne sonore per film e teatro e collaborazioni con musicisti di livello internazionale. Con il suo progetto artistico Magnetica Ars Lab (www.magnetica.org) Arnaldo è oggi anche un noto esponente in Italia della corrente artistica e musicale che fa uso delle moderne tecnologie informatiche ed elettroniche nelle composizioni sonore e viene definita “industrial”.

Nella realizzazione dei brani elettronici che compongono questa colonna sonora egli ha quindi lavorato distorcendo e modificando senza nessuna remora per reindirizzare verso nuove frontiere sonore le antiche melodie e la splendida voce di Lia e per farlo si è avvalso della collaborazione al pianoforte di Irma Toudjian, la nota pianista classica di origini armene che vive a Cagliari (che suona nel brano finale liberamente ispirato a Debussy) e anche di Alex Ledda, un altro giovane musicista sardo che vive a Roma, che collabora alle batterie elettroniche.

Biografia: SALVATORE MANCA (1971)

Vive e lavora a Sassari. Video artista e poeta “indipendente” inizia nei primi anni 90 come artista visivo partecipando a Reading di poesia e collettive d’arte e video arte.collaborando con artisti visivi, musicisti e ( performer ). Ha diretto lavori di video-arte e cinema sperimentale, tra cui Bioethic Vision ( 2016 )

Ha pubblicato due raccolte di poesia:
“Contos e cantos” – edizioni Stampa Alternativa e “Soluzione estrema” – edizioni No frontiere (2003/2004)

Biografia: LIA ORIGONI (1919)

Lia Origoni nasce a La Maddalena, il 20 ottobre del 1919.

A diciotto anni vince a Roma la borsa di studio del Ministero per frequentare gli studi musicali al Teatro dell’Opera. Il suo talento è tale, che, caso unico nella storia, la borsa le viene confermata pure l’anno successivo. A 20 anni sottoscrive il primo contratto con la sperimentale Fonovisione (progenitrice della Televisione) che opera a Roma con una ventina di monitor, di cui uno per il Duce e uno per il Papa. Viene scritturata da Totò e Anna Magnani per la rivista “Quando meno te l’aspetti”. Nel 1940 Lia passa con Rabagliati. Poi, per un contratto di 300 marchi a serata, che costituiva per l’epoca una vera fortuna, a soli 22 anni debutta alla Scala di Berlino, incontrando le massime stelle europee del momento Jaques Tati, Werner Kroll, Loni Hoiser.

Il successo di Lia Origoni diventa travolgente durante gli anni quaranta tanto da offuscare pure il mitico Tito Schipa, ormai al termine della sua prestigiosa carriera. Gli artisti che si esibiscono a Berlino in quegli anni sotto la guerra vengono mandati in tournèe per portare conforto alle truppe impegnate nei territori sovietici. Durante una di queste tournè Lia viene addirittura catturata dai partigiani che quando capiscono che si tratta della giovanissima e famosa soprano italiana la rilasciano senza che le venga torto un capello.

A Berlino nello stesso periodo, sotto i bombardamenti alleati, una gigantografia di Lia Origoni al massimo della sua notorietà, alta 2 piani, coprì per mesi lo squarcio di un palazzo storico davanti al teatro.
Lia resistette a lungo anche alle avance del potente Goebbels, nonostante le preoccupazioni dell’ambasciata italiana, che temeva pesanti complicazioni diplomatiche. Dopo il 25 aprile e la destituzione del Duce, Lia Origoni chiede di lasciare subito la Germania, ma i gerarchi nazisti glielo vietano. Raggiunta in maniera rocambolesca l’ambasciata italiana riesce a fuggire prima che si chiudano le frontiere.
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Dopo la guerra si presenta all’EIAR di Firenze e ottiene una scrittura dal maestro Barsizza. A seguito di questo nuovo successo, passa a Milano, dove all’Olimpia viene scritturata per La Scala d’Argento, di Roversi, con Costa e Tajoli. Le truppe alleate sono ormai sbarcate in Sicilia, l’Italia firma l’armistizio e i tedeschi, furibondi, escono da Roma, per attestarsi lungo la linea gotica. L’Italia è spezzata in due: al sud gli alleati, al nord i tedeschi. Lia è scritturata per una tournèe a Brescia, Piacenza, Genova e Milano. Da Milano la cantante si trasferisce a Venezia. Viene scritturata per la commedia “Addio giovinezza”. Finalmente Lia si presenta alla Scala di Milano e viene scritturata per La Traviata.

Il successo cresce e questa edizione della Traviata verrà ricordata anche perché una replica venne dedicata a Evita Peron, in visita ufficiale in Italia. Seguiranno numerose altre opere liriche a Roma e al San Carlo di Napoli, e poi contratti per trasmissioni alla RAI, tournèe a Parigi, esibizioni al Dianarzade, al Moulin Rouge, all’Operà, Lia che in quel periodo è amica di Chevalier, partecipa e vince il festival della canzone italiana in Francia. Va poi a Madrid, a Barcellona, in Marocco a Casablanca, in Egitto, a Il Cairo e ad Alessandria come ospite di riguardo di Re Farouk. Alle esibizioni canore si affianca il percorso teatrale con Paolo Poli, e anche una sua memorabile prestazione nell’Opera da tre soldi di Brecht. Ma anche studi sulla musica folkloristica accanto al maestro Giorgio Nataletti, direttore della scuola di Santa Cecilia. All’Università di Grenoble, negli anni cinquanta e all’apice della sua carriera artistica e dei riconoscimenti ufficiali, Lia Origoni decide di smettere di cantare. Oggi, a 94 anni compiuti vive a La Maddalena e si occupa attivamente del ri-editaggio delle centinaia di sue registrazioni canore, salvate dalle teche RAI, lavorando in autonomia al computer con particolare dimestichezza nelle nuove tecnologie audio.

DANIELA TAMPONI (1971).

Ballerina diplomata presso l’ Imperial Society Teachers of Dancing di Londra.
Diplomata all’ Istituto di Educazione Fisica Lombardia di Milano.
Ha studiato recitazione e teatro-danza presso la compagnia teatrale “Quelli di Grock” (Milano) con Susanna Baccari, Valeria Cavalli e Brunella Andreoli e Maurizio Salvalalio; ha frequentato corsi di danza contemporanea con Kim Amelotti e Tery Weikel .
Nel 2004 vince una borsa di studio al Cento Formazione Danza (Salsomaggiore-Parma) diretto da Annarita Partecipa a numerosi stage e corsi di formazione professionale tra i quali:
Malù Airado e Domenique Mercy del Wuppertal Tanztheater di Pina Bausch, Barre Philips, Julien Hamilton, Ornella D’ Agostino, Eileen Standley, Lynda Barlet, Avi Kaiser, Sergio Antonino, Mauro Astolfi, Loris Petrillo, Enrico Buratti, Cristina Amodio, Pierre Favre, Mario Mascitelli, Rossella Fiume, Paolo Quattrini, Carlo Furletti, Luisa Lauretta, G. Luca Taddei, Bogdan Renczynski, Marigia Maggipinto, Matteo Gazzolo. Attualmente frequenta il corso di formazione per counselor ad indirizzo arte terapeutico presso L’Istituto Gestalt e Body Work a Cagliari.
Fra gli altri ha lavorato insieme a: Tore Manca, Matteo Gazzolo, Ornella D’Agostino, Marco Boscani, Rossella Maiore Tamponi, Andrea Meloni, Fulvio Renzi, Erika Giovannini.

Regia Agostino Ferrente
Sceneggiatura Agostino Ferrente
Montaggio Letizia Caudullo, Chiara Russo
Musica Andrea Pesce
Scenografia Alessandra Mura, Cristina Del Zotto
Costumi Massimo Cantini Parrini
Produttore Marc Berdugo, Barbara Conforti, Gianfilippo Pedote
Produzione Magneto, Arte France
Distribuzione Istituto Luce Cinecittà

 

Estate, Napoli, Rione Traiano. Qui vennero relegati gli sfollati delle baraccopoli di via Marina, rimasti senzatetto dal dopoguerra. Qui, nell’estate del 2014, un sedicenne morì per un errore di persona durante un inseguimento di polizia. Davide – così si chiamava – come tanti altri adolescenti cresciuti in quartieri difficili, aveva lasciato la scuola e sognava di diventare calciatore. Girava in motorino senza casco, e mai avrebbe pensato che un’infrazione così diffusa fra i suoi coetanei avrebbe potuto costargli la vita.Anche Alessandro e Pietro hanno 16 anni, vivono al Rione Traiano e sono amici fraterni, diversissimi e complementari. Alessandro è cresciuto in assenza del padre, che dopo la separazione dalla madre si è trasferito altrove e continua a fargli desiderare la sua presenza. Ha lasciato la scuola dopo una lite irrisolta con un’insegnante che pretendeva imparasse a memoria l’Infinito di Leopardi. Ora fa il garzone in un bar, e in particolare è addetto alla consegna a domicilio: con una mano guida il motorino (ovviamente senza casco), con l’altra tiene acrobaticamente in equilibrio il vassoio. Guadagna poco, non va in vacanza ma ha un lavoro onesto in un quartiere dove, per i giovani disoccupati, lo spaccio è una sorta di ammortizzatore sociale a cui è facilissimo accedere.Pietro sogna di diventare parrucchiere, ma al momento è disoccupato.

Il padre, di mestiere pizzaiolo, ha un ingaggio stagionale fuori città e torna a casa una volta alla settimana. Sua madre è andata in vacanza al mare con gli altri due figli piccoli; lui invece ha deciso di passare l’estate a casa, per fare compagnia al suo migliore amico e liberarsi dei chili di troppo cominciando finalmente una dieta che rinvia da quando, in seguito alla morte di un cugino in un incidente stradale, ha perso il controllo dell’alimentazione.Alessandro e Pietro accettano la proposta di filmarsi con l’iPhone che il regista offre loro perché raccontino in presa diretta il proprio quotidiano, l’amicizia che li lega, lo scenario del quartiere che si svuota nel pieno dell’estate, la tragedia di Davide.L’auto-racconto in “video-selfie” di Alessandro e Pietro e degli altri ragazzi che partecipano al casting del film viene alternato con le immagini gelide delle telecamere di sicurezza che sorvegliano le strade del rione, come grandi fratelli indifferenti che fotografano una realtà immutabile. E il quartiere appare nelle immagini dei ragazzi come nella poesia di Leopardi che finalmente Alessandro prova a studiare e a raccontarci: circondato da un muro che esclude la conoscenza di tutto il resto…

Regia: Felice D’Agostino, Arturo Lavorato

SARANNO PRESENTI IN SALA I REGISTI.

 

Accanto alla storia ufficiale del Risorgimento, che vede nella creazione dell’Italia unita una rivoluzione portata avanti in nome della civiltà e del progresso, ce n’è un’altra, rimasta a lungo ai margini, semiclandestina. Essi bruciano ancora cerca di dare voce e corpo a questa storia parallela, in cui l’Unità d’Italia non è altro che un processo di colonizzazione del Meridione, ancora oggi in corso.
E’ un film sul Risorgimento come maschera ideologica di un processo di colonizzazione mai terminato nei nostri territori non solo dal 1861 (nella restituzione noi ci muoviamo dal 1799 ma pensiamo ancor più indietro, richiamando per esempio anche Masaniello). Non è una ricostruzione storica. Il film dura poco più d’un ora e mezza, combina l’impianto di un film a tesi con quello di una cinematografia dell’accadimento aperta all’imprevisto che si crea nelle scene/situazioni create ed evocativa d’un oltre misterioso ben al di là dei contenuti referenziali.

E’ stato selezionato alla sezione sperimentale “Onde” dell’edizione 2017 del Torino Film Festival, al Fronteira Festival 2018 e al FilmMadrid 2018.

Il film non ha distribuzione e ne cerca una.

Il film vuole coinvolgere nella visione e continuare a vivere nelle rielaborazioni creative postume di ogni individuo e collettività che lo voglia accogliere.

 

 

Lunedì 29 Luglio ’19, h.21:30
all’ Ultimo Spettacolo, Sassari

La favola di un’altra giovinezza
di e con Eliana Cantone
drammaturgia Giordano V. Amato
musica di Elisa Fighera
produzione Il Mutamento Zona Castalia
La favola di un’altra giovinezza propone un intreccio tra letteratura, cinema e teatro a partire dal romanzo di Mircea Eliade e dall’omonimo film di Francis Ford Coppola.

La storia segue le esperienze della protagonista italo-rumena Maria Piarulli, figlia di immigrati italiani in Romania alla fine dell’800. All’età di sessantacinque anni Maria vien colpita da un fulmine che, anziché ucciderla, le dona una nuova possibilità, una seconda giovinezza. Una favola insolita e paradossale, un viaggio in chiave ironica ed onirica verso la ricerca di una seconda possibilità di vita, di un’altra giovinezza.

Spettacolo vincitore del bando Kilowatt Festival Visionari 2013.

 

Marosi di mutezza – Teatri in via d’estinzione, giunge quest’anno alla sua dodicesima edizione. Come sempre la rassegna offrirà uno sguardo sul panorama teatrale indipendente italiano, sui linguaggi del contemporaneo e sulle giovani realtà, che in questo mondo teatrale sempre più difficile intraprendono il loro cammino.
Anche quest’anno la programmazione s’intreccia con un altro importante progetto portato a casa dalla nostra compagnia: la vincita del bando Funder 35 della Fondazione Cariplo, con il progetto Format-azione. Questo ci darà modo di affiancare al programma degli spettacoli anche un laboratorio di progettazione per la cultura e lo spettacolo dal vivo, tenuto da Ludovica De Angelis per Melting Pro che si terrà dal 19 al 21 ottobre a Sassari.

Gli spettacoli si svolgeranno al Teatro ferroviario di Sassari, al Vecchio Mulino, alla Sala concerti Teatro Verdi e a L’ultimo spettacolo.

Programma nel dettaglio

Il costo dell’abbonamento per tutti gli spettacoli (anteprima del 06/10 esclusa) è di euro 40,00 ed è acquistabile presso la libreria Koinè in via Roma 137, a Sassari.
Abbonamento studenti universitari: euro 20,00

L’abbonamento non è nominativo ed è sempre cedibile, quindi non avere dubbi, sostieni ora la rassegna e partecipa!

 

 

di Anna Destefanis
con Vanessa Podda, Luca Lai, Thomas Rodgers, Anna Destefanis, 7 partecipanti al workshop e 9 spettatori circa
setting Leonardo Mazzi
costumi Desacrè, Salvatore Aresu, Otreblalusac
produzione Compagnia B, Codice Ivan
in collaborazione con Cesp, Lariso, Sardegna Teatro, Regione Autonoma della Sardegna

 

Vorrei girarmi indietro e poi guardare avanti, per capire meglio dove sono e dove sto andando.
Vorrei farlo con voi, perché ci sono cose che da soli non si possono fare.

Century è una di quelle.

 

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(Valido fino al 8/10/2016)

Regia: Marco Sanna
con: Felice Montervino, Marco Sanna, Marialuisa Usai, Francesca Ventriglia.
Scene e costumi: Sabrina Cuccu Luci: Valerio Contini Ambienti sonori: Luca Spanu Foto di scena: Alec Cani
Produzione Sardegna Teatro

 

Nasce, questo lavoro, dalla volontà di raccontare uno stato di attesa, quello in cui si aspetta di essere dimenticati. Si parte da un dato di fatto: la morte della tradizione. La tradizione è morta ma viene continuamente chiamata in causa, in una sorta di accanimento terapeutico, impedendogli di morire davvero. Ogni volta che ci si allontana dal conosciuto, si ha immediatamente bisogno di tornare indietro, raccogliere le forze, consolarsi, per poi di nuovo allontanarsi, e così siamo legati ad un eterno elastico, che regge l’impossibile, che non riesce a spezzarsi.
Cosa vuol dire non riuscire a morire? Vuol dire attraversare molto più tempo di quel che ci è dato vivere, vuol dire non rispettare i tempi e le stagioni, togliersi fuori incautamente dalla legge di natura. Le cose diventano così qualcosa di estremamente lontano e diverso, rispetto a ciò che erano quando quando sono nate, la stessa differenza che passa tra Cristo e chi oggi si fa detentore della sua parola.
Ciò che dovrebbe essere fluire del sangue, continuità di gesto, di pensiero, di azione, diventa un astratto ricordo, un abito da mettere o cambiare a seconda dell’occasione, una citazione da fare quando si è a corto di argomenti. Tradizione è un concetto metastorico e dinamico, una forza ordinatrice in funzione di principi trascendenti. Una forza che agisce lungo le generazioni, attraverso istituzioni, leggi e ordinamenti.

 

Insomma qualcosa con cui ti trovi a fare i conti pur non sapendo più bene dove ne sia l’origine. Qualcosa che permane nonostante l’incedere del tempo e dei fatti. qualcosa che ti trovi addosso, in segni, modi di pensare e di agire, che si voglia o no, malgrado tutto.

 

 

 

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(Valido fino al 8/10/2016)

di Batisfera Teatro
Regia e Drammaturgia di Angelo Trofa
Con Valentina Fadda e Angelo Trofa
Scenografia Sabrina Cuccu
Costumi Sabrina Cuccu e Adriana Geraldo
Attrezzeria Simona Passi
co-produzione Akroama – Sardegna Teatro

Quotidianamente siamo assediati dalla domanda “Come stai?”.
Una gentilezza di circostanza, una domanda affettuosa o semplicemente una mera formalità che lascia aperto un problema profondo: come sto?
Sto bene, sto male, abbastanza bene, abbastanza male.

 

La domanda è troppo banale per rispondere con tutta la complessità necessaria o è troppo complessa per rispondere con tutta la semplicità necessaria.Come sto è un dialogo sconnesso, un fiume di parole dove stati d’animo, sensazioni, eventi e accidenti concorrono a dare risposta alla domanda “Come stai?”.
Mille risposte possibili, tutte insieme, mescolate, in contraddizione.
Un quadretto assurdo e definitivo, un fluire di parole per definirsi almeno per un attimo, per recintare temporaneamente il caos dilagante, tutto quel rumore che concorre a rendere difficile la risposta all’eterna domanda “Come sto?”

 

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(Valido fino al 8/10/2016)