12 Marzo 2019 h.21:00
Teatro Civico (Palazzo di Città), Sassari
ingresso 12,00 € – ridotto 10,00 €

L’OMBRA DELLA SERA
Regia, scene, luci: Alessandro Serra
interpretato da Chiara Michelini
produzione: Compagnia Teatropersona
co-produzione: Sardegna Teatro
con il sostegno di: Centro Giacometti (Ch), Regione Toscana sistema dello spettacolo dal vivo

L’ombra della sera s’ispira alla vita e all’opera di Alberto Giacometti. La scelta di confrontarsi con questo artista nasce dalla potenza della sua opera che colpisce e suscita quel genere di emozione che si prova quando si riconosce in ciò che si vede qualcosa di familiare. Giacometti ha saputo cristallizzare la vita vivente in opere capaci di raccontare una profonda umanità. Nelle sue opere è possibile trovare un interlocutore privilegiato che ci pone di fronte a un corpo svelato, dotato di una forza sovraumana, pesante come il bronzo ma in grado, diceva Cocteau, di far pensare alle impronte degli uccelli sulla neve.
Il titolo L’ombra della sera vuole evocare quel particolare momento in cui quando scende il crepuscolo, l’artista si toglie gli occhiali, spegne la luce ed esce per addentrarsi tra le ombre che abitano il quartiere. Rimane solo l’atelier, vuoto, tutto si muove appena, continuamente si trasforma in una lentezza verticale. Riposano statue ricoperte di stracci bagnati, dee immobili nel loro sudario di silenzio, sentinelle vigili e discrete nella loro solitudine assoluta la cui bellezza, scriveva Genet: “pare risieda nell’incessante, ininterrotto andirivieni fra la lontananza più remota e la più intima familiarità: un andirivieni senza fine, che ci fa dire che sono in movimento”.

“In quell’atelier un uomo muore lentamente, si consuma sotto i nostri occhi, si trasforma in divinità femminili.”
L’opera che vede in scena un unico interprete si crea a partire da a un punto di vista femminile ispirato alle tre donne della sua vita: la madre Annetta, la moglie Annette e la prostituta Caroline. La struttura drammaturgica si compone a partire dalle opere dell’artista: forme precise da cui estrarre possibili qualità di movimento da indagare e corrispettivi frammenti di umanità da evocare. Un racconto che non vuole essere una ricostruzione della sua vita o del suo lavoro e che perciò non vuole darne una interpretazione o un giudizio. 
Il tentativo è dare corpo a quelle umanità che tanto fortemente emergono dalle sue opere, quei volti e quei corpi che plasmava o tratteggiava sul bordo di un giornale e che incontrava per strada, al caffè, nelle peregrinazioni notturne o tra le persone a lui più vicine. Corpi e volti in cui possiamo ritrovarci e riconoscerci. 
L’universo di Giacometti viene evocato con un racconto silenzioso ed essenziale, fatto di immagini e movimento. Un movimento che non corrisponde mai al puro spostamento, ma piuttosto a una qualità più profonda, intima.
Giacometti è stato uno degli artisti più rappresentativi dell’anima del 900.
Un’anima di fil di ferro che si lascia docilmente plasmare da mani che corrono instancabili.
La potenza delle sue opere può spaventare all’inizio, perché sposta in uno spazio vasto dove la luminosità del grigio è abbacinante e non fa venir voglia di addentrarsi tra queste figure scarnificate. Ma solo una lettura superficiale si ferma a una forma e a una cromia apparentemente fredde e spigolose.
Trovandoci di fronte al busto di Annette o a un suo ritratto o alla Femme debout ci si sente guardati. 
Dritto negli occhi. Profondamente. Fino a rendersi conto che sei tu che ti stai guardando come allo specchio e forse comprendere ciò che Giacometti intendeva affermando che “ogni uomo è uguale a ogni uomo”.
Questo suo essere così vicino all’umanità (e non alla società, direbbe Giacometti) è ciò che ci ha affascinato e che vorremmo evocare attraverso un punto di vista femminile: usando oggetti e creando azioni che, pur non volendo riprodurne esattamente i fatti e le opere, a essi sono imprescindibilmente legati. Scoprire e far scoprire che la materia di queste esili figure non è carne martoriata né ossa scarnificate ma piuttosto una speciale membrana, invisibile e sconosciuta che, come ossa sensibili alla pioggia, si infiamma di fronte a uno sguardo puro, capace di
attraversarne la ferita più segreta e svelarne la bellezza solitaria e dolente.
La grande avventura per Giacometti consisteva forse nel veder sorgere qualcosa di ignoto ogni giorno sullo stesso viso. In questo senso lo spettacolo si ispirerà soprattutto al suo sguardo. Le sue opere nascono dall’ossessione di ritrarre esattamente ciò che vedeva, nel modo in cui lo vedeva. Non si tratta di figure inquietanti ed estranee, nulla di più reale è mai stato scolpito da artista. È di ritrattistica dal vero che si sta parlando non di arte astratta. Sarà un ritratto dal vivo.

Organizzazione per Sassari: Meridiano Zero
info@meridianozero.org

Lo spettacolo sarà in scena anche il 10 Marzo alle h.18:00 all’Auditorium multidisciplinare di Arzachena.

Trailer:

Galleria:

 

da venerdì 15 domenica 17 febbraio 2019
venerdì e sabato: ore 21.00; domenica: ore 18.00
al Teatro Tram, Napoli

Ingresso 10,00 euro  –  prevendita online

THIS IS NOT WHAT IT IS

tratto da Otello di William Shakespeare
di e con Marco Sanna, Francesca Ventriglia
produzione Meridiano Zero

Ultimo capitolo per B-tragedies trilogia shakespeariana trash, che questa volta si confronta con Otello. La formula, come nei due precedenti capitoli che hanno affrontato Macbeth e Amleto, è quella di far reagire fra loro il linguaggio alto di Shakespeare con forme espressive molto più basse: il karaoke, con la stampa scandalistica, con le barzellette sporche, con le parolacce, con le squallide battute, con la volgarità di ogni giorno, con i soldi, con il gratta e vinci, con la tivù, con le merendine e con i villaggi turistici, con i selfie, con gli strass e le paillettes, con i cocktail colorati, con i balli di gruppo, con la tristezza della volgarità, con la volgare tristezza.

Questo è un omaggio alla spazzatura di ogni giorno, alla bassa fedeltà, alla confusione nella quale viviamo, al tradimento di ogni tradizione tradita e subita, ad ogni inutile umana speranza, alla stupidità di ogni gesto ogni parola ogni movimento a cui non ci si abitua mai. Siamo a Cipro e non succede nulla. Sono lontani i tempi quando i Turchi assediavano le coste, quando si poteva almeno menar le mani. Non è rimasto nulla neanche una fortezza da difendere. Solo la noia di chi sa di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Solo i fantasmi che pian piano s’impossessano delle nostre vite, si mescolano alle nostre vicende personali. Cipro è la metafora dell’agognato luogo di residenza, quello in cui passare un breve o lungo periodo di “studio”, concentrazione, isolamento dalle distrazioni quotidiane. In scena due attori senza fantasia e senza talento, ma con un desiderio disperato di ambedue le cose. Sono artisti mediocri, che per una vita intera hanno trascinato la loro pochezza sui palcoscenici, non così fortunati da vivere la loro condizione nella totale inconsapevolezza, ma al contrario in una sorta di depressione perenne, contagiosa, ma non mortale, una febbre sottile che li accompagna in uno stato di debolezza cronica. Fra i tavolini vuoti e gli ombrelloni divelti, due anime sole e ignoranti, svuotate di ogni consapevolezza, rifiutano esse stesse di voler sapere o conoscere i motivi per i quali si trovano ad agire su un palcoscenico costretti a recitare un inutile Otello, tema obbligatorio dell’ennesimo inutile bando. Questa è la parodia del bel teatro, il buon teatro, quello con la trama narrativa, quello dei testi sacri, quello che accusa un vuoto di contenuti negli altri, sempre negli altri, quello che non si guarda allo specchio, incapace di vedere le proprie rughe.

23 e 24 Febbraio 2019

all’interno della XII stagione teatrale indipendente giallocoraggioso

TeatrodeiLimoni, Foggia

 

ADDA PASSà A NUTTATA

produzione Meridiano Zero (Sassari)
di e con Marco Sanna e Francesca Ventriglia
“Adda passà a nuttata” è il primo passo della trilogia shakespeariana trash (B-tragedies) che ha portato la compagnia ad affrontare tre grandi tragedie: Macbeth, Amleto e Otello.
Si  tratta di un lavoro in bassa fedeltà, per fronteggiare la crisi. Alla base c’è una coppia, una particella familiare infeconda e infetta, un nucleo respingente che non contempla l’esistenza del mondo al di fuori delle proprie quattro mura di casa, che distrugge tutto ciò che osa interporsi fra loro e la ricerca della pace, della tranquillità. Due anziani coniugi chiusi in un luogo di detenzione, che non verrà mai svelato. Sappiamo che hanno commesso delle azioni atroci, delitti feroci, che hanno dimenticato e di cui ricordano solo brevi particolari nella loro memoria a sprazzi. Sono due tenere figure, nonostante i segni delle atrocità commesse, due amabili vecchietti che si tengono per mano dopo aver commesso una strage. Lo spettacolo gioca continuamente fra alto e basso, fra immaginario splatter e poesia.

ARGONAUTI (film)

Regia e montaggio: Alessandro Penta

Sound design: Luca Pagliano

Color correction: Alberto Danelli

Con: Alessandro Argnani, Emanuele Valenti, i cittadini di S. Chirico Raparo, gli adolescenti di San Chirico Raparo e Matera.

Una produzione: Sicomoro Coop. Soc., Ravenna teatro / Teatro delle Albe, Q Academy

In collaborazione con: Punta Corsara, IAC Matera

e in collaborazione con 4CaniperStrada, per la rassegna “Transumante-Cinema e Periferie”, con il sostegno di MIBAC e Siae.

Prima mondiale: FilmMaker Festival 2017, Sezione Prospettive

Selezione ufficiale Trento Film Festival 2018

Tratto dal progetto Tuttun – La non scuola del Teatro delle Albe a San Chirico Raparo

“Cosa ci fa Giasone seguito da un manipolo di eroi nel piccolo paese di San Chirico Raparo in Basilicata? Forse si trova qui il famoso Vello d’oro? O forse per trovarlo bisogna partire ed affrontare un lungo viaggio? Questo si chiedono Alessandro Argnani e Emanuele Valenti attori e guide teatrali della non-scuola del Teatro delle Albe di Ravenna.

I due sono alle prese con circa 40 adolescenti del paese e di Matera, tra loro ci sono anche 12 ragazzi africani residenti in una comunità . Al gruppo si unirà presto anche Peppino un istrionico ottantenne. Il testo su cui verte il lavoro sono Le argonautiche di Apollonio Rodio.

Il viaggio è il filo che unisce le diverse storie che attraversano il documentario: quello degli argonauti, un viaggio antico di secoli; quello degli abitanti di San Chirico quasi tutti emigrati all’estero e tornati in vecchiaia; e infine il viaggio dei nuovi migranti, giovani che affrontando enormi pericoli sono arrivati proprio qui.”

http://alessandropenta.altervista.org/

MILANO, VIA PADOVA (Film)

condotto e galoppato da Antonio Rezza

Conducted and galloped by Antonio Rezza

 di/by Flavia Mastrella Antonio Rezza

interpreti/cast: Antonio Rezza

immagini di/images by Marco Tani e Flavia Mastrella

montaggio/edited by Barbara Faonio

foto di scena/ set photos Ivan Talarico

girato a Milano/ filmed in Milan

produttori/ producers: REZZAMASTRELLA – Fondazione Gaetano Bertini Malgarini Onlus

“Nel film spicca il lavoro di persuasione che è stato fatto negli anni dai mass media sulla popolazione (formata da persone). L’uniformità di argomentazioni relative al razzismo, inibisce il sentimento e lo rende doppiamente grave. Il 21 maggio a Milano in Via Padova, armoniosi e combattivi, iniziamo le interviste: Antonio Rezza, Flavia Mastrella, Marco Tani, Massimo Simonetti, Ivan Talarico, Daniele Verlezza, Adil Bahir si muovono nella città che si risveglia. Antonio si guarda attorno, la via è quasi deserta. Il sabato prefestivo consente la tipica sospensione di chi regala a se stesso l’oltraggio di un giorno di riposo. Gli intervistati si concedono con la prepotenza di chi vede in quel tempo perduto un diritto inalienabile.

http://www.rezzamastrella.com/

Un Pallido Puntino Azzurro

compagnia Teatro dei Limoni

di Christian di Furia

diretto e interpretato da Roberto Galano

Produzione TEATRODEILIMONI

Testo finalista Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli” 2017

Vincitore residenza artistica CTU (Centro Teatrale Umbro) 2017

“H3+ è lo ione triatomico di idrogeno, ed è l’elemento chimico alla base dell’Universo. Tutto nasce da questa molecola: le stelle, le galassie, l’acqua. La vita. Esplorare l’Universo, quindi, significa esplorare una parte di se stessi. Nel suo viaggio spaziale verso Giove e Saturno, il Maggiore Franchino Accatagliato scopre così il proprio mondo: un pianeta che, in effetti, aveva sempre s-conosciuto.”

Testo finalista Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli” 2017

Vincitore della residenza artistica CTU (Centro Teatrale Umbro) 2017

http://www.jrstudio.it/teatrodeilimoni/

L’Avvoltoio

di Anna Rita Signore

Testo e indagine di Anna Rita Signore

Regia Cesar Brie

Assistente alla regia: Anna Rita Signore

Con Emilia Agnesa, Agnese Fois, Daniel Dwerryhouse, Valentino Mannias, Marta Proietti Orzella, Luca Spanu, Luigi Tontoranelli

Musica: Luca Spanu

Costumi: Adriana Geraldo

Scene: Sabrina Cuccu

Luci: Loïc François Hamelin

Tecnico di compagnia: Fabio Piras

produzione Sardegna teatro

«Dentro l‘Italia c’è una grande terra isolata, con poca gente e poche città. Ettari e ettari, quasi spopolati, abitati da gente tenace, ma incapace di realizzare iniziative comuni. Mangime per politici».

Questo sprezzante stigma della CIA sulla Sardegna scoperchia la scena de L’Avvoltoio, regia di César Brie e produzione Sardegna Teatro, che prende le mosse dal testo di Anna Rita Signore, – «Premio speciale Claudia Poggiani alla Drammaturgia», all’interno del Premio Calcante 2014 – nato a partire dalla sua indagine documentaria. Il focus è sul più grande poligono militare d’Europa in Sardegna; il testo procede come un’inchiesta giornalistica che condensa dati di biografia personale e collettiva; lo spettacolo assurge a opera poetica in cui le azioni sono cucite insieme nella trama della commedia umana.

Se lo scopo della medicina è la salute, lo scopo del teatro è la felicità – dice Aristotele – e César Brie, mentre sovrappone un contenuto di denuncia, ossia fatti di un’attualità stringente – tuttora irrisolti – a una regia puntuale, in cui le differenti personalità attorali compongono una polifonia corale, punta lo sguardo sulle capacità precipue del teatro di farsi luogo di poesia e coscienza, lotta e incanto.

In una scena in cui ciascun oggetto ha una pregnanza evocativa, come dalla lezione kantoriana, i protagonisti titillano una crudeltà che schiude alla pietà e, dirigendo le fila di una danza macabra, rovistano tra le macerie dei disastri dell’umano sull’umano, cercandovi una traccia di sacralità universale.

L’avvoltoio è un’allegoria visiva, inscena un’intimità che ha peso sociale perché, demolendo gli idoli, scava nella facoltà di fare il bene.

L’Avvoltoio si basa su una storia vera. Epicentro: Quirra, un piccolissimo villaggio della Sardegna sud-orientale, all’interno di un vastissimo territorio poco antropizzato e destinato al pascolo brado che ospita, dalla metà degli anni ’50, il più grande Poligono sperimentale d’Europa. Eserciti di tutto il mondo e aziende private vengono qui per testare nuovi sistemi d’arma, addestrare truppe, simulare guerre.

Ma cosa si sperimenta in questo Poligono e cosa si è sperimentato in passato, non è dato saperlo. Troppi interessi sul tavolo, troppi segreti e omissioni. Troppe risposte, vaghe e contraddittorie. Una sola amara certezza: la sindrome di Quirra – sorella minore delle sindromi del Golfo, dei Balcani, di Mogadiscio – che colpisce civili e soldati, e alimenta il sospetto che all’interno della base, si siano usate munizioni all’uranio impoverito, con le esplosioni si siano prodotte nano-particelle di metalli pesanti e radioattivi, si siano smaltiti e stoccati rifiuti pericolosi, armi chimiche e batteriologiche.

È una storia di cui poco si sa: coperta da segreti militari e industriali, è scrupolosamente protetta dal silenzio di Stato. E dal silenzio – ben più drammatico perché dettato dalla disperazione –  di quella parte della popolazione, socialmente più fragile, che non parla per paura. Ancora una volta, il ricatto si tinge di dramma sociale: «se accetto e sto zitto rischio di morire, ma ho un lavoro; se non accetto, muoio di fame».

Ci troviamo nella sala prove di un teatro. Un gruppo di attori è alle prese con l’allestimento di uno spettacolo teatrale per denunciare quello che, da anni, sta accadendo all’interno e a ridosso del Poligono. Le vicende personali degli attori si intrecciano pian piano con quelle dei loro personaggi. Ricorrendo all’espediente del «teatro nel teatro», L’Avvoltoio si serve degli attori e dei personaggi per dare fiato al dolore di padri e madri, figli e figlie, fratelli e sorelle, soldati: testimoni e vittime tutti della stessa tragedia. La loro storia tocca da vicino Quirra e l’intera Sardegna, con il suo territorio occupato per il 60% da servitù militari; ma coinvolge tutta l’Italia, con i suoi Poligoni nel Triveneto, in Puglia, nel Lazio, in Toscana, su cui gravano forti sospetti di contaminazione. Per questo attori e personaggi non fanno mai nomi, né di luoghi, né di persone. L’Avvoltoio racconta la loro storia così com’è, cruda e ruvida. Vuole scuotere lo spettatore; farlo riflettere, arrabbiare; spingerlo a fare domande, e chiedere le risposte a chi quelle risposte deve darle. C’è una strage in corso. Silenziosa.

Oggi è in corso il processo che vede, per la prima volta in Italia, dietro il banco degli imputati, otto alti ufficiali militari.

https://www.sardegnateatro.it/

7-14-21-28

con Antonio Rezza

e con Ivan Bellavista

habitat: Flavia Mastrella

(mai) scritto da Antonio Rezza

assistente alla creazione: Massimo Camilli

 disegno luci: Mattia Vigo

(disegno luci: Maria Pastore, 2009)

organizzazione generale: Stefania Saltarelli

macchinista: Andrea Zanarini

metalli: CISALL

 produzione: REZZAMASTRELLA – Fondazione TPE – TSI La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello

ufficio stampa: Chiara Crupi

comunicazione web: Silvia Vecchini

Civiltà numeriche a confronto. La sconfitta definitiva del significato.

Malesseri in doppia cifra che si moltiplicano fino a trasalire: siamo a pochi salti di distanza dalla sottrazione che ci fa sparire. Oscillazioni e tentennamenti in ideogramma mobile.

La storia:

In un paese allo sbando un Uomo è affascinato dallo spazio che diventa numero.

La particella catastale dell’ingegno porta l’essere animato a fondersi con la civiltà numerica al declino. Una donna bianca, vestita di rete e di illusione, rimpiange il tempo degli inizi, quando l’amore è solo affanno e poco ancora. Il non senso civico sfugge a chi governa come bestie questo ammasso di carne alla malora. Si vota con la gola gonfia delle urla di chi ha votato prima, ci si lascia sovrastare dall’istituzione che detta convenzione e cancella dignità.

Il sollevatore di pesi solleva se stesso e la famiglia organizzata che sputa fiato su ogni collo alla deriva. Intanto la cultura si finanzia con i soldi del padrone: il servilismo non ha dote.

Seduti nell’alto dei cieli ad aspettare il Dio mozzo che ci ha fatto a pezzi.

E finalmente i numeri a rendere lo spazio fallace, in balia della cifra che lo schiaccia

Costretto a ragionare non per logica ma per sottrazione, l’uomo è improvvisamente migliore: sotto di lui non c’è la terra che lo seppellirà ma la tabella di uno spazio mai così confuso.

Che poi si ride è un problema legato alla mercificazione della pelle macellata.

In questo gioco macabro e perverso si affaccia la fiaba allucinata: altro che felici e contenti, qui la nevrosi insegue il capriolo: uno che scappa e l’altro che corre con due gambe che non ne fanno una. Fossimo zoppi faremmo più paura.

Escalation e Tentennamento

Improvvisamente cessa il legame con il passato: corde, reti e lacci tengono in piedi la situazione. Si gioca alla vita in un ideogramma. Il tratto, tradotto in tre dimensioni, sviluppa volumi triangolari diretti verso l’alto che coesistono con linee orizzontali: ma in verticale si muove solo l’uomo.

Il rosso sanguigno della seta brillante rende inquieta l’atmosfera e accoglie l’uomo urlante e stremato che incede, comico suo malgrado, verso le trappole di un ordine precostituito.

L’ideogramma, di ispirazione cinese, è scritto con oggetti a noi familiari durante l’infanzia…… la scultura sprigiona metafora… ed è proprio la metafora a tenere insieme anche la storia.

Il compagno di gioco affianca l’inconsapevole eterno bambino che è costretto a cedere a una realtà biologica e numerica che lo spinge inevitabilmente dove il vigore del suo tempo vuole.

Flavia Mastrella

 

Il Salto in gola

Salti in lato e sui contorni: perdita del significato residuo e parola alle cifre dello sterminio. Inutile pensare a chi moriva ieri quando lo sterminio è in pieno corso.

Lo spazio è come un numero, per chi si vuole perdere, per chi rinuncia al filo del discorso che è lo stesso filo che ti impicca. Il corpo si è dato alla gola che raschia ormai nell’intimo. Il fianco duole ancora per una nuova ed eterna alleanza. Qui non si racconta la storiella della buona notte, qui si porge l’altro fianco. Che non è la guancia di chi ha la faccia come il culo sotto. Il fianco non significa se non è trafitto.

Con la gola secca e il corpo in avaria si emette un altro suono.

Fine delle parole.

Inizio della danza macabra.

Antonio Rezza

http://www.rezzamastrella.com/

Svalbard, la terra dove nessuno muore

Regia video e fotografia: Omar Bovenzi

Drammaturgia e regia teatrale: Giordano Vincenzo Amato

Concerto e colonna sonora Blind Cave Salamander (Fabrizio Modonese Palumbo, Paul Beauchamp,

Julia Kent) col contributo di Xiu Xiu e Store Norske Mandskor

Voce e azione in scena: Eliana Cantone

In video: Gianni Colosimo

Luci: Alessia Massai

Costume: Roberta Vacchetta

Oggetto di scena: Luca Lusso

Produttore esecutivo: Il Mutamento Zona Castalia

“Svalbard, la terra dove nessuno muore” è uno studio del territorio artico in quattro moduli che intreccia i linguaggi di teatro, cinema e musica, comprendendo una performance teatrale e un concerto, un album musicale, un documentario e un cortometraggio.

È un’esplorazione artistica, sociale, ecologica, umana e politica, incentrata sulle tematiche riguardanti la protezione dell’ecosistema, le conseguenze dei cambiamenti climatici, la possibilità di una pacifica convivenza, la demilitarizzazione e il divieto di insediamenti militari nei territori.

L’Arcipelago delle Svalbard, a 1.300 chilometri di distanza dal Polo Nord, è il luogo dove la popolazione di orsi sorpassa quella umana, dove sementi da tutto il mondo sono conservate sotto il permaforst, dove convivono cittadini di oltre quarantatré diverse nazionalità, dove non ci sono eserciti.

L’Arcipelago delle Svalbard, a 1300 km di distanza dal Polo Nord, è il luogo dove la popolazione di orsi sorpassa quella umana, dove sementi da tutto il mondo sono conservate sotto il permafrost, dove convivono cittadini di oltre 43 nazionalità, dove non ci sono eserciti, dove nessuno nasce e dove nessuno può essere sepolto. Un’esplorazione artistica sociale, ecologica, umana, politica. Un album e un concerto, un documentario, un cortometraggio, una performance teatrale.

http://www.mutamento.org/