Regia: Marco Sanna
con: Felice Montervino, Marco Sanna, Marialuisa Usai, Francesca Ventriglia.
Scene e costumi: Sabrina Cuccu Luci: Valerio Contini Ambienti sonori: Luca Spanu Foto di scena: Alec Cani
Produzione Sardegna Teatro
Nasce, questo lavoro, dalla volontà di raccontare uno stato di attesa, quello in cui si aspetta di essere dimenticati. Si parte da un dato di fatto: la morte della tradizione. La tradizione è morta ma viene continuamente chiamata in causa, in una sorta di accanimento terapeutico, impedendogli di morire davvero. Ogni volta che ci si allontana dal conosciuto, si ha immediatamente bisogno di tornare indietro, raccogliere le forze, consolarsi, per poi di nuovo allontanarsi, e così siamo legati ad un eterno elastico, che regge l’impossibile, che non riesce a spezzarsi.
Cosa vuol dire non riuscire a morire? Vuol dire attraversare molto più tempo di quel che ci è dato vivere, vuol dire non rispettare i tempi e le stagioni, togliersi fuori incautamente dalla legge di natura. Le cose diventano così qualcosa di estremamente lontano e diverso, rispetto a ciò che erano quando quando sono nate, la stessa differenza che passa tra Cristo e chi oggi si fa detentore della sua parola.
Ciò che dovrebbe essere fluire del sangue, continuità di gesto, di pensiero, di azione, diventa un astratto ricordo, un abito da mettere o cambiare a seconda dell’occasione, una citazione da fare quando si è a corto di argomenti. Tradizione è un concetto metastorico e dinamico, una forza ordinatrice in funzione di principi trascendenti. Una forza che agisce lungo le generazioni, attraverso istituzioni, leggi e ordinamenti.
Insomma qualcosa con cui ti trovi a fare i conti pur non sapendo più bene dove ne sia l’origine. Qualcosa che permane nonostante l’incedere del tempo e dei fatti. qualcosa che ti trovi addosso, in segni, modi di pensare e di agire, che si voglia o no, malgrado tutto.
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(Valido fino al 8/10/2016)